GIRLS WHO EAT, le ragazze che mangiano, il chiaro messaggio che parte dal mondo crossfit, per combattere ed abbattere gli stereotipi di genere.
“Ma perché se ti alleni ogni giorno non ti si vedono gli addominali?”
“Le tue braccia sembrano quelle di un uomo”
“Perché vuoi allenarti di più se hai già il fisico da uomo?”
“Tu hai le palle di “sporcarti” un po’ per sollevare di più”
E potremmo stare qui ore a raccontarci la collezione dei commenti sul nostro aspetto dedicatici da partner familiari, amici, compagni di allenamento. Non è infatti un segreto che noi donne CrossFitter, anche ai livelli più amatoriali, siamo soggette a importanti critiche sul nostro corpo. In una società in cui i canoni femminili più ricercati sono riconducibili a una taglia extra-small, il fisico di una CrossFitter risulta spesso più “ingombrante”, tanto da essere spesso additato come “maschile”. E sono tante, negli anni, le donne che ho visto abbandonare a malincuore il box perché non a proprio agio col fisico “troppo maschile” risultante da un allenamento intenso.
Partendo dal presupposto che non esistono fisici “giusti” o “sbagliati”, soprattutto nell’ottica totalmente inclusiva del CrossFit, è innegabile che nell’immaginario collettivo, spesso restituitoci dai social, una donna “fit” sia muscolarmente “fine”, non abbia un upper body molto sviluppato, e soprattutto si alleni con l’obiettivo di modellare il suo corpo a questi stessi canoni.
Lo stesso discorso non si può certamente applicare a una disciplina come il CrossFit, in cui il corpo è utilizzato -quasi- sempre nella sua interezza, e soprattutto è la testimonianza visibile e tangibile delle ore di allenamento subìte, non con una finalità estetica, ma con l’obiettivo di migliorare le prestazioni atletiche.
Di pari passo va il discorso dell’alimentazione e, di conseguenza, delle diete drastiche (QUI abbiamo parlato di digiuno intermittente) che difficilmente sono coniugabili a un regime intensivo di allenamento, ma a cui spesso molti atleti, principianti e non, ricorrono per perdere più velocemente massa grassa. Al di là di un discorso puramente pratico in termini di conservazione a lungo termine dei risultati, un piano alimentare proibitivo non è di certo sufficiente a fornire il carburante necessario a sostenere un certo tipo di prestazioni atletiche.
Questi stereotipi influenzano a modo proprio anche le atlete élite.
La giovanissima Josefin Andersson, nona ai Games 2019 nella categoria Girls 14-15, raccontò della forte sensazione di disagio provata a Madison nel non riconoscersi “definita” quanto le sue avversarie, e di come, nel tempo, si fosse lasciata influenzare da CrossFitter che sui social mostravano i loro pasti -decisamente ridotti-, lasciando credere a lei e a tanti altri che l’unico modo per avere un fisico da vero élite fosse fare la fame.
E se oggi stiamo iniziando ad abituarci a nuovi modelli di femminilità e a non conformarci a questi standard, è grazie a donne che hanno già infranto questi stereotipi sul corpo femminile, atlete che della loro body-confidence hanno fatto la loro firma, prima tra tutte la grande Dani Speegle. Ci aveva già emozionato con un incredibile massimale di 250 lb nell’Event 10 degli scorsi Games, “Sandbag Ladder”, e ha continuato a sorprenderci con le eccellenti performance ai Rogue Invitational dello scorso ottobre, di cui ha vinto l’evento “Texas Oak” (1 rep-max log lift) con un’alzata di 215 lb. Con gli occhi dell’intera comunità CrossFit addosso, la Speegle non ha perso l’occasione di lanciare un importante messaggio:
si è infatti presentata in campo gara indossando una t-shirt con la scritta “Girls who eat”, l’hashtag che spesso utilizza sui suoi profili social per supportare donne di qualsiasi tipo di corpo, appetito e livello di fitness.
Negli stessi giorni, purtroppo, in Italia apprendevamo delle denunce riportate da alcune ex Farfalle in merito alle numerose violenze psicologiche e umiliazioni subìte durante la loro carriera a motivo del loro aspetto fisico, giudicato dagli allenatori non sufficientemente “magro” per la disciplina. Lo scandalo ha poi dato coraggio ad altre atlete per raccontare la propria storia, e in questi giorni anche le campionesse mondiali italiane di ginnastica aerobica e ginnastica artistica si sono pronunciate in merito alle vessazioni e alle privazioni di cibo a cui, nel tempo, son state sottoposte.
Secondo uno studio del 2016, il rapporto tra atlete professioniste donne e atleti uomini che soffrono di disturbi alimentari corrisponde a 9:1. Ciò significa che il 90% degli atleti affetti da DCA è composto da donne (fonte: The BMJ https://bjsm.bmj.com/content/50/3/154.long).
Può il CrossFit, in una visione collettiva costellata da stereotipi e importanti problematiche conseguenti essere un alleato delle atlete, a tutti i livelli, nel processo verso la normalizzazione di un corpo atletico e di uno stile di vita sano?
Per esperienza personale diretta, io dico di sì. L’ossessione per l’aspetto fisico probabilmente sarà ancora a lungo una costante nella società in cui viviamo, ma uno sport come il CrossFit, che non conosce categorie di peso, che ci insegna a “sentire” il nostro corpo in movimento, senza bisogno di specchi, e che quindi sposta il focus dalla semplice apparenza alla prestazione, permette a chiunque, donne e uomini, di testare il proprio corpo a piacimento con l’obiettivo di migliorarsi sempre di più.
E allora il cambiamento non avviene e non avverrà nel modo in cui ci guardiamo allo specchio, ma nel valutare ciò che quel corpo ci permette di fare: mantenerci in salute, divertirci, infrangere gli stereotipi, diventare forti.
E una donna forte è una donna consapevole.
Una bella donna.