in

LoveLove

NON HO FATTO GLI OPEN

NOBULL CROSSFIT OPEN 2023

Faccio Crossfit ma si, quest’anno NON ho fatto gli open!

Si è appena concluso quel periodo dell’anno, quello che aspettiamo già dal febbraio precedente, un po’ con la stessa trepidazione con cui i bambini aspettano il prossimo Natale già a inizio gennaio, un po’ con quell’ansia che ci mettono i social subito dopo l’Epifania per la fantomatica “prova costume”. Quelle tre settimane che, una volta concluse, sentiamo già il coach dire “iniziamo a prepararci per l’anno prossimo”.
Ovviamente parliamo degli Open, quelli che, se provati almeno una volta nell’ambiente giusto, sappiamo essere un’altalena di emozioni degna di una competizione, dilazionata in più settimane.
Si è appena concluso quell’evento a cui, per la prima volta, ho deciso di non partecipare. “E sti cazzi, chi se ne frega”, penserete giustamente, sono una persona X che si allena per diletto come decine di migliaia di altre, senza troppe pretese.

CROSSFIT OPENHo pensato però di raccontare la mia esperienza e le mie considerazioni
perché, sono certa, tanti altri ci si potrebbero ritrovare. Per cui facciamo un passo indietro.
Ho iniziato a fare CrossFit 6 anni fa, a febbraio, esattamente quel periodo dell’anno. Ricordo che tutti i componenti del box, in quella piccola realtà dove ho iniziato, mi invitavano ad assistere a quest’evento, spiegando come meglio potevano, a me che in quella lavagna leggevo solo lettere senza significato, cosa comportassero quegli (allora) 5 appuntamenti annuali. L’anno successivo, inutile dirlo, la mia prima iscrizione agli Open. Ricordo le sveglie alle 7 del mattino la domenica perché il nostro box non possedeva ancora tutti gli ergometri, e così gli altri owner dell’hinterland si rendevano disponibili ad ospitarci.

Ricordo gli appuntamenti il giovedì notte per gli announcement, tutti riuniti attorno a uno smartphone a scommettere sino all’ultimo minuto sui movimenti che sarebbero usciti. Ricordo le prime volte in cui ho sentito quella strizza più forte del solito prima del “dieci secondi!”; le prime magie degli Open: i miei primi DU, i miei primi pull up, PR di C&J tirati su per decine di volte; ma, soprattutto, ricordo le prime tante volte dei miei compagni.

CROSSFIT OPEN
E così gli anni successivi. Quelle che erano piccole realtà nel frattempo sono cresciute, io ho mollato le classi, cambiato box, compagni, dinamiche e intensità di allenamento, ma l’entusiasmo e l’attesa di questo appuntamento annuale son rimaste le stesse di quei primi Open 2018.
Fino a quest’anno, e qui arriviamo al dunque. A fine anno scorso mi sono trasferita all’estero, ho trovato un box incredibile, con allenatori competenti e atleti fortissimi, un ambiente super stimolante, con 40 partecipanti per classe; una realtà ben lontana da quell’ambiente per me quasi domestico, così distante da quelle mura gialle e nere dove negli ultimi anni ero solita trascorrere le mie intere giornate, trattenermi a preparare i miei esami universitari, riempire il frigo della mia spesa e soprattutto affrontare allenamenti impossibili con i miei compagni di allenamento, ormai amici.
Sono stati (e continuano ad essere) mesi di adattamento un po’ difficili, in cui son passata dal trascorrere intere mattinate al box al dover incastrare quelle due orette di allenamento in mezzo a mille altri impegni, con molte meno energie; mesi durante i quali i ragazzi del nuovo box mi hanno invitato più e più volte ad allenarmi insieme a loro, mentre io trovavo quasi pace nel rinchiudermi da sola in area open box con le mie auricolari, quasi a non voler accettare l’idea di poter continuare a vivere il CrossFit con un altro gruppo.

CROSSFT OPEN
Il risultato è stato, chiaramente, matematico: allenamenti sempre più noiosi, prestazioni sempre più
fiacche, demotivazione crescente.
Finché non è arrivato il momento dei fantomatici Open. Quest’anno, per la prima volta, ho deciso di non partecipare per un motivo: sentivo di non avere nessun progresso da testare, né un gruppo con cui condividerlo.

La sola idea che sarei precipitata in basso nella classifica rispetto al trend in crescita degli
scorsi anni mi faceva stare male, nonostante il CrossFit sia per me qualcosa di molto amatoriale, una passione a cui dedico tanto tempo e energie, ma pur sempre una semplice passione.
In concomitanza all’evento, tra l’altro, mi sono ritrovata obbligata, per vari impegni accademici, a mettere in pausa gli allenamenti per tre settimane, il periodo di pausa più lungo di questi 6 anni. Sono quindi tornata al box due giorni dopo l’annuncio del primo workout. Improvvisamente, al mettere piede dopo tutti quei giorni dentro quell’enorme capannone e al leggere sulla lavagna “23.1”, ho pensato che non ci fosse cosa più giusta per me che unirmi a tutte le altre persone che si stavano allenando in quel momento e sudare all’unisono insieme a loro. Dopo 14 terribili minuti, credo di averne trascorsi almeno altri 30 sdraiata sul gommato in balia dei miei pensieri. Il mio corpo stava malissimo (c’è da dire che come primo workout dopo tre settimane di fermo avrei potuto scegliere qualcos’altro), ma la mia testa no.

Attorno a me c’erano le stesse persone che nel 2017 mi invitavano ad assistere a questo strano spettacolo, le stesse che negli anni successivi hanno urlato per me affinché trovassi la forza di fare un’altra rep, solo che avevano facce e nomi diversi e parlavano un’altra lingua. E in un momento ho capito quanto mi stessi perdendo. Quanto mi mancasse la sensazione di entrare al box come qualcuno che ha ancora tutto da imparare dagli altri, come quando a 19 anni, dopo un’intera adolescenza senza sport, misi piede in quel piccolo capannone di paese con qualche bilanciere e nemmeno un vogatore.

Lì dove ho imparato la forza del gruppo, che è così forte da trascendere nel singolo. Quando per me ogni piccolo movimento sembrava impossibile, ma che la fiducia degli altri in me ha reso possibile. Quando si correva sotto la pioggia tutti assieme, si restava sul gommato fino alla fine del timer ad aspettare di dare il cinque anche all’ultimo compagno, e se qualcuno arrivava in ritardo erano burpees per tutti. Ed era giusto così.
Negli ultimi anni ho quasi creduto di dover allenarmi per dimostrare di aver imparato qualcosa in tutte quelle ore di sacrificio, come se gli altri si aspettassero da me sempre più testa, costanza, crescita, prestanza. In parte per soddisfare il mio coach e restituirgli tutto l’impegno nel programmare per me, per stare dietro ai miei infiniti limiti mentali e fisici, e per provare a dare un senso al mio impegno e al suo.

E nel momento in cui la testa e la costanza sono venuti meno, ho capito cosa mancava.
Ho deciso di non partecipare agli Open e dopo anni ne ho ricordato (o capito finalmente per davvero?) l’importanza e il significato.

“None of us is as good as all of us” recitava un giorno la lavagna del mio box,
sotto la spiegazione di un team wod. È una frase che negli anni mi è rimasta addosso, ma che per diverso tempo non mi sono data la possibilità di vivere.
Abbiamo la fortuna di aver scelto uno sport individuale unico, perché regala tutta la forza e lo spirito degli sport di squadra. E gli Open servono a ricordarci quanto questa forza sia illimitata. Perché è vero, il CrossFit è un marchio studiato a tavolino, ma è studiato così bene da permetterci di devastare i nostri corpi lasciandoci ancora quel desiderio di rifarlo quanto prima possibile. Una piccola droga. E avere qualcuno con cui condividere tutto questo, con cui confrontarci, spronarci, aiutarci, sfotterci, berci X birre a fine allenamento, è uno dei motori più potenti di questa dinamica.
Poi, è vero, il senso degli Open non è solo questo. È mettersi in gioco con quella spinta in più, sapere di avere la possibilità e un po’ anche il dovere di andare oltre. È quella opportunità per chiunque, anche per chi è ai primi approcci o per i veterani che non contemplano il mondo della competizione, di spingersi più in là della propria zona di comfort.

Ma immaginiamo la stessa identica performance da soli, con un telefono a filmarci per certificare il rispetto degli standard. Senza nessuno che è lì per noi a giurarci che crede che possiamo fare ancora un po’ di più.
Il lunedì successivo a quel sabato sono entrata al box e mi sono fermata molto prima del mio solito
angolino. Ho poggiato la mia borsa a fianco a quella degli altri, ho riposto le auricolari nella loro custodia, e ho chiesto “¿qué vamos a hacer?”. Il giorno dopo ho testato di nuovo il workout. E le settimane successive, gli altri due.

E ho pensato che forse, è vero, non avevo progressi da testare, ma comunque tante energie da
vivere. Perché il CrossFit è duro, ma dà infinite soddisfazioni, altrimenti saremmo solo dei malati masochisti un po’ invasati.

E la condivisione è la chiave di questo folle e divertentissimo gioco.

Scritto da Michela

Wannabe crossfitter since 2017, vivo praticamente con le polsiere addosso e lascio tracce di magnesite in giro neanche fossi Pollicino. Il CrossFit è la mia croce e delizia, il motore che mi spinge ogni giorno a migliorarmi come atleta e come persona. Il mio più grande sogno? Un mondo senza double under!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

tia clair toomey 23.2

TIA-CLAIR TOOMEY 23.2

CINTURA DA ALLENAMENTO XENIOS USA ERGO WOD 2.0